La meritocrazia in Italia la vogliono in molti, ma la perseguono in pochi. A scanso di ogni possibile equivoco sull'argomento, chiariamo il concetto di merito. Definiamo meritevole in campo scolastico, nel mondo occidentale, colui il quale è degno di stima e di sostegno per i risultati che consegue in un determinato campo di studi, e la cui ricchezza intellettuale ed il valore del suo operato possono considerarsi patrimonio di un'intera società. E' evidente, quindi, che il numero chiuso va esattamente contro questa concezione del "merito", essendo quest'ultimo un concetto di qualità e non di quantità: nulla preclude che possano esserci tantissimi meritevoli in una stessa disciplina. Un numero chiuso di meritevoli non esiste.
Il mercato del lavoro non può dettare la misura con la quale si decide il futuro di un giovane individuo dotato di criticità, intelligenza e sogni. Di fronte alla volontà di un uomo o di una donna di voler esplicare le proprie attitudini in una disciplina non si può operare la violenza della costrizione ad una scelta forzata verso altro. Il principio fondamentale di ogni meritocrazia dovrebbe essere quello che una persona che studia per costrizione non darà mai il meglio di se in quella materia.
Se il settore universitario italiano è in crisi, se ci sono pochi laureati e di scarsa preparazione, non è sbarrando gli accessi con un quiz a risposta multipla che si pone un rimedio. La crisi dei cervelli in Germania ne è un esempio. Neanche un ottimo quiz sarebbe in grado di misurare le innumerevoli capacità ed attitudini che uno studente sviluppa e matura in tredici anni di scuola. E' necessario che la nostra classe politica smetta di fare provvedimenti di grande effetto mediatico per uscire sui giornali e cominci, anche a costo di essere impopolare, a lavorare a provvedimenti seri, quali garantire la qualità dell'istruzione negli anni precedenti l'università. Ma l'impopolarità è un prezzo troppo alto per chi fa parte di un organizzazione fondata su interessi e consenso quale un partito. Per rendere efficiente il sistema scolastico ed universitario del nostro paese sono necessari investimenti in persone e nuove strutture che costerebbero troppo sia alle casse dello stato, sia ai privilegi accumulati dalle caste radicate in tali istituzioni. Investimenti che, nell'ottica dei nostri anziani politicanti, sono "a perdere" in tutti i sensi. Parlare di ICI e pensioni giova sia nella riscossione del consenso, sia nell'alleviamento del malcontento diffuso. L'università, la ricerca, e più in generale la fomazione, sono campi che danno i loro frutti solo nel lungo termine.
Quanto tempo dovrà ancora passare, prima che qualcuno si degni di mettere mano a rifome serie che restituiscano a questo paese un po' di etica e legalità? Speriamo poco, intanto votate al sondaggio sulla "porcata" di Mussi, il quale all'inizio degli scandali sui test di quest'anno dava l'ultima parola ai TAR, e poi, con un decreto, ha annullato le sentenze che obbligavano le università ad ammettere gli studenti ricorrenti.
PS. A breve il resoconto sulla settimana cogestita al Garibaldi